Enone, Venezia, Pasquali, 1744

 ATTO TERZO
 
 SCENA PRIMA
 
 PRIAMO, PARIDE, CLEONE, EURIALO, AGELAO, EGLE, seguito di nobili troiani con Priamo, di pastori con Paride e di ninfe con Egle
 
 CORO
 
    Più soavi e più gioconde,
 aure, spirate,
 fiorite, o sponde,
570festeggiate il nostro re.
 
    Re più grande, re più giusto,
 re miglior di lui non è.
 
 PRIAMO
 Grato m’è il suon di queste
 voci festose, o fortunate genti,
575figlio del vostro amore,
 non anche infetto da civil contagio
 in queste pastorali erme contrade.
 Piaccia agli dii ch’io ritrovar qui possa
 quella da lungo tempo
580sospirata quiete,
 di cui non so se assicurar mi debba
 o disperar, sì strano
 per me e sì oscuro è il favellar del cielo.
 Voi fate intanto che al gran Giove ideo
585gli antichi sacrifici
 si apprestino sul colle. Indi del figlio
 diasi all’ombra l’usato
 funebre onor.
 PARIDE
                            Del nostro
 zelo non men dover che gloria sia
590l’ubbidirti, o gran re.
 PRIAMO
                                         Sei tu che hai queste
 piagge in governo?
 PARIDE
                                      Imposto
 m’han gli altrui voti il non ambito incarco.
 PRIAMO
 In così fresca etade?
 AGELAO
 Gli anni supera il senno.
 EURIALO
595Astrea regge i suoi passi.
 CLEONE
 Né v’ha chi a’ suoi non renda
 rettissimi giudici alta ragione.
 EGLE
 (Egle nol dice e nol direbbe Enone).
 PRIAMO
 Ben ne feci altre volte
600favorevol presagio, allor che in volto
 gli fissai ’l primo sguardo. Il ben impreso
 sentier, Paride, segui; e del sovrano
 nostro amor ti assicura ad ogni evento.
 PARIDE
 Troppo...
 PRIAMO
                    Ite, o fidi, ad eseguir miei cenni.
605Tu sol resta, Agelao.
 AGELAO
                                       (Che sarà mai?)
 PARIDE
 (Buon per me, che di Enon l’ire placai).
 
 SCENA II
 
 PRIAMO e AGELAO
 
 PRIAMO
 S’io di tua fede dubitar potessi,
 men saria la mia mente
 agitata e confusa.
 AGELAO
                                   E che la turba?
 PRIAMO
610Un sogno.
 AGELAO
                      Un sogno or figlio
 è di vani fantasmi, or vien dal cielo.
 PRIAMO
 Se a lui creder degg’io, tu m’ingannasti.
 AGELAO
 Fievol cagion per dubitarne.
 PRIAMO
                                                      Esposto
 certo da te fu il mio Alessandro...
 AGELAO
                                                              A fiere
615selvagge; e colà vedi il monte e il bosco.
 PRIAMO
 Pasto il misero fu d’orsa feroce.
 AGELAO
 Ah! Dopo il quinto sole, in cui rividi
 il fatal loco, qual sperarne avanzo
 delle tenere membra?
 PRIAMO
                                           E pur la corsa
620notte mi si presenta
 pien di vita il mio figlio.
 AGELAO
 Facilmente il disio forma e dipinge
 l’immagin delle cose a noi più care.
 PRIAMO
 Ma in loco d’abbracciarlo, alzo e in lui vibro
625ferro omicida. Allora
 un suo grido mi desta e d’orror tutto
 mi sento e di sudor gelido e molle.
 AGELAO
 Natura, da te offesa,
 scotesi e ti rinfaccia il figlio ucciso.
 PRIAMO
630Il so; malvagio padre
 fui per esser buon re. Fiamma e ruina
 minacciavano a Troia
 i sogni e i vaticini. Io n’era in pena;
 e da crudel pietà preso consiglio,
635del regno alla salvezza uccisi il figlio.
 
    Come sono impero e trono
 quel gran ben che il mondo crede,
 se possanza a trar d’affanno
 mai non hanno un cor di re!
 
640   Quante volte anzi è costretto
 dal dover di sua grandezza
 a svenar ogni altro affetto
 di pietà, di amor, di fé!
 
 SCENA III
 
 ENONE e i suddetti
 
 ENONE
 Giusto re, non ti aggravi
645porger pietoso orecchio
 alla più desolata afflitta donna
 che in terra sia, tratta a sì acerbo e duro
 stato ingannevolmente,
 da chi iniquo tra noi sostien tue veci.
 PRIAMO
650Di Paride favelli?
 ENONE
 Di lui che tal m’ha fatto ingiuria e torto
 da moverne a pietà le fiere e i sassi.
 PRIAMO
 Levati; e i torti tuoi spiega; ma avverti
 che tu non sia qual chi, in soffrir la pena
655di qualch’opra malvagia,
 chiama il giudice iniquo.
 AGELAO
 (Casi acerbi prevveggo).
 ENONE
 In Enone altra colpa
 non è, o signor, che d’aver dato ad uomo,
660che fé non ebbe mai, troppo di fede.
 PRIAMO
 Come fosti tradita?
 ENONE
 Dirò. Sentenza ei pronunziò di morte
 in Niso, il fratel mio, che in repentina
 rissa avea tolto altro pastor di vita.
 PRIAMO
665Contro d’ogni omicida
 gridan morte le leggi;
 e se Pari le leggi
 neglette avesse, io ne l’avrei punito.
 ENONE
 Io da fraterno amor vinta, a gittarmi
670corsi a’ piedi del perfido e per Niso
 pregai...
 PRIAMO
                   Ma invano. E questo è il grave torto,
 onde perfido il chiami?
 ENONE
 Detto l’avrei crudele,
 non perfido, o signor, se la ripulsa
675riportata ne avessi.
 AGELAO
 (O allor felice lui!)
 ENONE
                                     Co’ più solenni
 giuramenti n’ottenni
 che, quand’io pur volessi
 esser sua quella notte,
680egli dato mi avria libero e salvo
 il mio caro germano al novo giorno
 e meco celebrate avria le nozze
 nel tempio. Ecco il mio fallo. A sue lusinghe
 credula m’abbandono... Ed in quel punto
685ch’io mi credea sicura
 di esiger la mercé di mia pietade,
 in quel punto... Oimè! Misera! Egli fece
 al mio dolce fratel troncar per mano
 di carnefice il capo.
 PRIAMO
                                      E il vero ascolto?
 ENONE
690Purtroppo; e scenda in me, se il ver non dico,
 quell’aspra atroce morte
 che merita colui che, sotto il manto
 d’ingannevole affetto
 e di non anco celebrate nozze,
695m’ha insieme col mio onor morto il fratello,
 anzi me stessa uccisa,
 che sopravviver al mio mal non posso
 né deggio, se non quanto
 vendicata mi veggia.
700Deh! Se in alma di re giustizia ha loco,
 signor, pietà ti tocchi
 di me, misera donna; e sia quell’empio,
 qual di perfidia, di giustizia esempio.
 PRIAMO
 Enon, che a me ben nota
705sei per la eccelsa stirpe, onde discendi,
 vanne; e se il ver narrasti,
 certa sii che di Paride sul capo
 cadrà la pena a tanto error dovuta.
 Che se mosso da preghi
710o da vile pietà, manco al dovere,
 tutto il regio mio sangue
 e tutti i regni miei strugga quel foco
 che nel serbato figlio
 saria stato fatale a Priamo e a Troia.
 ENONE
715E s’io dal pianto o dall’amor mi lascio
 sedur di quel perverso, in mio martoro
 ei tradimenti a tradimenti aggiunga
 e mi renda infelice
 più di quello che or sono.
720Ma di vita egli è indegno e di perdono.
 
    Quanto giurava, ahi! quanto
 d’amarmi il traditore
 e d’essermi fedel!
 
    Ma falso era l’amore
725e meditava intanto
 l’inganno e ’l mio dolore
 quell’anima crudel.
 
 SCENA IV
 
 PRIAMO e AGELAO
 
 PRIAMO
 Paride a me qui venga. (Parte una delle guardie reali)
 AGELAO
 (Son fuor di me).
 PRIAMO
                                   Di tanta
730iniquità, cui non s’udì l’uguale,
 che ti sembra, Agelao?
 AGELAO
 Paride all’omicida
 dando il giusto gastigo,
 re, non mancò alle leggi.
 PRIAMO
735Mancò, ingannando la gentil donzella,
 col prometterle cosa
 che, se osservata, ingiusto,
 se inosservata, lo rendea spergiuro.
 AGELAO
 Con l’imeneo le si compensi il danno.
 PRIAMO
740La salvezza di Niso essere il prezzo
 dovea de’ suoi sponsali.
 Quello se le defrauda. Il suo possesso
 fatto è ingiuria e rapina. Enon delusa
 vuol giustizia e l’avrà;
745e Paride morrà .
 AGELAO
 Morrà?...
 PRIAMO
                    Puoi dubitarne?
 AGELAO
 Paride sventurato!
 Mal si puote sfuggir forza di fato.
 
    Vorrei... Ma che?... Non so...
750Guardati... Ah! Cor non ho;
 (ed ei non sa perché).
 
    Risvegli in te pietà
 saper che in verde età
 non è maturo il senno
755e forte il cor non è.
 
 SCENA V
 
 PARIDE e PRIAMO
 
 PARIDE
 Dunque Enon vuol mia morte? E chiudea l’ire?
 Ecco il re. Che dirò?
 PRIAMO
                                        Paride, è vero
 che per sentenza tua Niso sia morto?
 PARIDE
 Alla legge ubbidii che il condannava,
760perché d’altri omicida.
 PRIAMO
 Hai soddisfatto al tuo dover. Ma acceso
 d’un malvagio disio, dimmi, in qual legge
 trovi che giusto sia tradir donzella,
 sotto titol di sposo e con promessa
765di renderle il fratel libero e salvo,
 e poi nulla adempir de’ patti iniqui,
 lasciando la meschina
 doppiamente ingannata? Di’. Rispondi.
 Perché taci? A che tremi? Ov’è quel franco
770parlar che han gl’innocenti? Ardisci omai.
 Giudice io ti fo cor. Tu reo non l’hai.
 PARIDE
 Re, de’ due gravi eccessi, onde al tuo trono
 accusato son io, basta che un solo
 sia vero, in mia condanna.
775Ma se l’opre giustifica un fin retto,
 forse di quel che sembro
 men colpevole sono. Amai gran tempo
 la bella Enon. Ripulse
 ne riportai. Piegò quel cor ritroso
780la sventura di Niso. Ella in suo scampo
 pianse, pregò. Dall’amor mio l’ottiene,
 purché sposa mi sia. Vi assente; e ’l nodo
 celebrato già fora in faccia ai numi;
 ma si sperò che il tuo vicino arrivo
785ne accresceria la pompa. Un breve indugio
 non fa oltraggio alla fede. Io gliela serbo.
 Sua è la mano, suo il cor. Vadasi al tempio.
 Di che si può doler?
 PRIAMO
                                       Duolsi di Niso,
 dopo i tuoi giuramenti
790barbaramente ucciso.
 PARIDE
 Mi acciecò, lo confesso,
 forza d’amor nella promessa iniqua.
 Ma quando in cosa iniqua
 si dee fede serbar?
 PRIAMO
                                      Ma quando abuso
795lice al giudice ancor far del suo grado,
 del poter, delle leggi?
 PARIDE
                                          Amor...
 PRIAMO
                                                          Già intesi.
 O a ben regger sé stessa, e meno gli altri,
 o sempre inetta gioventù! Di Enone
 disponti agli sponsali; e soddisfatto
800sia all’onor suo.
 PARIDE
                               Tanto anch’io bramo, o sire.
 (Così fine i perigli abbiano e l’ire).
 PRIAMO
 
    Sotto sì amabil volto
 spirti sì bassi e rei?
 Creduto non l’avrei;
805ma il volto m’ingannò.
 
    Ragion non lo sostenne.
 Senso lo pervertì.
 La fede altrui tradì;
 e al suo dover mancò.
 
 SCENA VI
 
 PARIDE
 
 PARIDE
810Qual mi resta speranza
 in sì avverso destin? Chi in mio soccorso
 sarà? Pietoso re? Ma giusto e irato.
 Femmina amante? Ma tradita e offesa.
 Qual primo placherò? Tu, bella dea
815d’amor, tu, Citerea,
 che in ricever da me nel gran litigio
 il favorevol voto
 tanti mi promettesti almi diletti,
 vien tu in mia aita; e non soffrir che chiuda
820i teneri anni miei morte angosciosa
 in odio al mio regnante e alla mia sposa.
 
    Poc’anzi era lieto;
 or sono infelice;
 perché non mi lice
825sperar che la sorte
 si torni a cangiar?
 
    Ahi! Vano conforto!
 Conosco il mio torto.
 Severo è ’l regnante.
830Tradita è l’amante.
 Si vuol la mia morte.
 Convien disperar.
 
 Il fine dell’atto terzo